Tuesday 8 September 2009

ENERGIA DALL'AFRICA


Congo, la diga di King Kong che vale 23 centrali nucleari
Doppiata la portata d'acqua della diga delle Tre Gole in Cina (foto)

Costerà 56 miliardi, porterà un fiume di elettricità fino all'Europa

LUIGI GRASSIA

TORINONella sfida al colossale l’Africa può battere tutti, persino la Cina. Il Congo ex belga, cioè l’ex Zaire, quello con capitale Kinshasa, sta per costruire un sistema di dighe - che si chiamerà Grand Inga - con una potenza quasi doppia della famosa diga delle Tre Gole in Cina: addirittura 39 mila MegaWatt, cioè l’equivalente di 23 centrali nucleari del tipo più grosso che ci sia al mondo (l’Epr di Flamanville di Edf-Enel). Anche le spese di costruzione sono elefantiache: 56 miliardi di euro messi a disposizione dalla Banca mondiale, dalla Banca europea per gli investimenti e da alcune altre istituzioni. Ventitré supercentrali nucleari di modello Epr eccedono di molto le necessità di un Paese come il Congo, perciò si sta già progettando un sistema di cavi elettrici che da Grand Inga porterà l’energia fino al lontano Sud Africa, e nell’opposta direzione alla rete nordafricana, da dove la corrente potrà poi passare in Europa e in Italia. Il risultato di questo progetto-King Kong è che premeremo l’interruttore a Roma o a Milano e la corrente ci arriverà dal Congo. Quest’ultimo sviluppo, a dir la verità, è la parte più controversa del progetto, perché alcuni critici (africani e non) protestano per tanti miliardi di euro destinati teoricamente allo sviluppo dell’Africa e invece dirottati a soddisfare il fabbisogno energetico dell’Europa; ma alla World Bank non accettano obiezioni: «Per finanziare un investimento di 56 miliardi di euro abbiamo bisogno di clienti solvibili» spiegano all’Africa Energy Group della Banca, e solo così si potrà sostenere il più grande progetto di sviluppo mai finanziato e sarà possibile portare la luce elettrica a 500 milioni di africani che ancora non ce l’hanno. Questo è solo uno dei progetti faraonici che riguardano l’energia in Africa. Un altro è il gasdotto da 8,5 miliardi di euro (le firme sono state messe un mese fa) per portare il metano dalla Nigeria all’Algeria e da qui all’Italia e al resto d’Europa. Poi c’è il «Desertec» per ricavare energia dal sole e dal vento nel Sahara e convogliarla in Europa, un progetto magnifico che però costa 400 miliardi di euro e quindi chissà quando si farà. E c’è sempre il vecchio petrolio. La nuova frontiera del greggio è proprio il Congo della diga Grand Inga.
L’Eni va alla scoperta del Paese con un mega accordo firmato dal suo numero uno Paolo Scaroni. L’ex Zaire è un Paese tormentato, uscito da guerre civili e da un vasto scontro internazionale sul suo suolo che ha visto coinvolti parecchi Paesi africani, la prima guerra pan-continentale nell’Africa nera. Adesso la Repubblica democratica del Congo (un nome più che altro beneaugurante, perché è chiaro che c’è ancora molto da fare) gode di una certa stabilità e viene considerata una delle nuove frontiere del petrolio e del gas. Ricco di minerali soprattutto nella regione meridionale del Katanga, il Congo non ha prodotto, finora, molti idrocarburi, se non nella piccola zona costiera che si affaccia sull’Atlantico; invece l’Eni andrà a cercare petrolio e gas nell’interno, cioè nell’ansa del fiume Congo (Cuvette Centrale) e nell’Est: la zona dei Grandi laghi, in particolare il lago Alberto, e quella del Nord Kivu. Proprio dove si è combattuto qualche anno fa.
L’Eni, al pari degli altri giganti mondiali del petrolio, si sta interessando dell’Africa Nera perché, fatta la tara di tutte le sue turbolenze, offre risorse alternative al Medio Oriente e alle sue tensioni continue. Nell’ex Zaire diverse concessioni saranno messe in gara nel 2010. Il Congo ha davvero bisogno di un’attività economica organizzata. Ha 69 milioni di abitanti che fra 25 anni raddoppieranno a 140 milioni.
Per quanto ci si possa inquietare per l’impatto ecologico della ricerca di petrolio e gas in regioni del Congo finora poco toccate dall’industria, se l’economia del Paese non si sviluppa tutti questi nuovi abitanti andranno a distruggere la foresta equatoriale per praticarvi una misera agricoltura di sussistenza, e l’ambiente sarà devastato anche peggio. Uno sviluppo che non sia saccheggio è indispensabile all’Africa e l’Eni ha ottime credenziali. Sicuramente migliori di quelle tanto decantate dei cinesi, che vengono sviolinati come una valida alternativa per lo sviluppo dell’Africa ma in realtà arrivano nel Continente Nero con tecnologie vecchie e inquinantissime, si portano gli operai da casa e in loco non formano nessuno. È probabile che quando se ne andranno lasceranno terra bruciata.

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