Monday 30 November 2009

SEGNI E SIMBOLI.. .TRADIZIONI AFRICANE


Inaugurazione mostra
Venerdì 4 Dicembre 2009 ore 16.30

Villa De Sanctis. Via Casilina, 667 Roma



Programma
ore 16.00 Accoglienza
ore 16.30 Saluti delle Autorità
ore 17.00 Presentazione mostra (Ndjock Ngana, curatore della mostra)
ore 17,30 Museo e territorio, importanza delle collaborazioni per la promozione culturale (Alessandra Cardelli Antinori, già curatrice della settore Africa del Museo Pigorini di Roma)
ore 18.00 Performance di artisti africani (Felicitè Mbezele, Steve Emejuru, Martin Kongo, Anatole Tah, Milton Kwami)


Per informazioni:
Associazione Culturale "Kel 'Lam onlus"
Via Prenestina 284/b, 00177 Roma
tel./fax: 06 27800082 – 348 0639676 - email: kellam@libero.it



La Villa de Sanctis si trova sulla via Casilina. Per chi arriva in autobus,
basta prendere il 105 dalla stazione Termini, oppure il tram blu (Laziali
Pantano) che parte dalla stazione laziale in fondo alla via Giolitti, e
scendere dopo la fermata di Torpignattara, alla fermata chiamata Berardi.




L'Associazione Kel'Lam si trova sulla prenestina n. 284/B all'altezza di
largoTelese. Ci si arriva con i tram n. 05, 19, dala stazione Termini, ed il n.
19, che fermano a largo Telese (tra largo preneste eVilla Gordiani).
Grazie

come sempre
Ndjock Ngana

Thursday 26 November 2009

Africani in piazza, tensione nel paese del «White Christmas»

Africani in piazza, tensione
nel paese del «White Christmas»

Dopo l’aggressione a una coppia nella vicina Rovato: «Noi tutti regolari». Il sindaco leghista: «Non vivono qui»


La manifestazione a Coccaglio
La manifestazione a Coccaglio
COCCAGLIO (Brescia) — Una protesta in piazza. Nel pae­se diventato simbolo di esclu­sione. Marocchini, senegalesi e tunisini nel comune dell’opera­zione «White Christmas», il «Natale bianco» per allontana­re i clandestini. Sono un centi­naio, agitano manifestini e scandiscono slogan. Alta tensio­ne davanti al municipio, c’è un grosso presidio di polizia. Vo­gliono prendere le distanze dal magrebino che nella notte tra venerdì e sabato ha aggredito due fidanzati a Rovato, dieci chilometri più in là. La donna è stata investita con l’auto e vio­lentata per ore. All’uscita dalla caserma di polizia l’aggressore (accusato di stupro, sequestro di persona e tentato omicidio) ha rischiato il linciaggio.

«Non incontrerai mai due volti identici. Ciascun volto è simbolo della vita. E tutta la vi­ta merita rispetto. È trattando gli altri con dignità che si gua­dagna il rispetto per sé». Mauri­ce, 32 anni, laurea in ingegne­ria e un lavoro da bracciante nelle vigne della Franciacorta, cita Tahar Ben Jalloun, scrittore marocchino impegnato contro il razzismo, e poi torna a mi­schiarsi alla folla. La piazza è quella più in vista della zona, quella del sindaco Franco Cla­retti, leghista, che «caccia gli ir­regolari ». A Rovato invece go­verna il centrosinistra guidato dal sindaco Andrea Cottinelli. La violenza sabato ha fatto esplodere la rabbia degli italia­ni contro chi «non rispetta le re­gole del paese che li ospita». E ieri gli uomini dello United co­lors of Christmas — così si so­no voluti ribattezzare — hanno gridato il loro no al «linciaggio generalizzato». Nel triangolo tra Rovato, Coccaglio ed Erbu­sco (30 mila abitanti in tutto) ci sono oltre seimila stranieri di al­meno 40 etnie diverse: sbarca­no il lunario tra vigne e aziende della Franciacorta come mano­vali, braccianti, operai.

«Siamo tutti regolari» hanno urlato in­crociando lo sguardo del sinda­co Claretti, mentre i carabinieri facevano da filtro. «Ma in piaz­za non c’erano certo gli immi­grati del nostro paese — ha det­to il primo cittadino di Cocca­glio. — Sono arrivati da Rovato e Cazzago, dove criminalità e clandestini esistono eccome, fa­rebbero meglio a manifestare là. Coccaglio è un’oasi felice as­sediata dagli irregolari». Come dire che dove governa il centro­destra si può «dormire sonni tranquilli», mentre dieci chilo­metri più a nord, dove ad ammi­nistrare è il centrosinistra, vivo­no «stupratori e i delinquenti». Francesco Corbetta, assessore alla Sicurezza di Rovato, rispedi­sce le accuse al mittente: «Faci­le strumentalizzare quello che è successo. La realtà è ben diver­sa e riguarda principalmente la gestione degli stranieri». Da Ro­vato, in altre parole, puntano il dito sulla Bossi-Fini e ricorda­no che «alla faccia della legge» Ben Karim Cherkaoui, il maroc­chino accusato dell’aggressio­ne dell’altra notte, era libero malgrado una denuncia per possesso di droga del 2007 e precedenti per spaccio.
Giuseppe Spatola
23 novembre 2009
http://www.corriere.it/cronache/09_novembre_23/giuseppe_spatola_africani_in_piazza_tensione_nel_paese_del_white_christmas_3043622a-d7fc-11de-a7cd-00144f02aabc.shtml

Tuesday 24 November 2009

Windows 7 to be available in 10 African languages

Windows 7 to be available in Setswana, isiXhosa, isiZulu, Igbo languages!
November 21st, 2009 . Filed under: News. Tags: Microsoft




Windows 7 will be available in 10 African languages! It’s estimated that more than half of all South Africans lack access to modern computer technology — and even if they had access, they would not be able to use it, as the interface would not be in a language they could understand.

That’s according to Vis Naidoo, the citizenship lead at Microsoft South Africa. Speaking at the Local Language Programme (LLP) Africa Summit in Sandton, Naidoo said providing access to computer technology in local languages will open up new worlds for education and economic participation for millions of South Africans.

Translation teams from South Africa, Kenya, Nigeria and Ethiopia have already started translating Windows 7 and the upcoming Office 2010 productivity suite into languages like Sesotho sa Leboa, Setswana, isiXhosa, isiZulu, Afrikaans, Hausa, Igbo, Yoruba, kiSwahili and Amharic.

Microsoft plans to translate Windows 7 and Office 2010 into 59 local languages by the end of 2011. Its most popular software packages have already been translated into 101 languages – including include Azeri, Georgian, Macedonian, Uzbek, Bosnian, Punjabi and Kyrgyz.

In South Africa, more than 4 million Afrikaans, isiXhosa, Setswana, isiZulu and Sesotho sa Leboa words were used to translate Microsoft’s Office 2007 suite and Windows Vista operating system. A team of 40 linguists and two project managers had the task of ensuring the most correct technical lexis for each vernacular.
Users can download the language packs from Microsoft.
Speaking of Microsoft South Africa, you might want to check out their SimplifyMyLife website for Windows 7
 http://www.thewindowsclub.com/windows-7-to-be-available-in-setswana-isixhosa-isizulu-igbo-languages

Passione d'Africa





Passione d'Africa.
L'arte africana nelle collezioni italiane


Presentazione del volume "Passione d'Africa, l'arte africana nelle
collezioni italiane" a cura di Chantal Dandrieu e Fabrizio Giovagnoni,
con saggi di Egidio Cossa e Jean-Louis Paudrat.
Intervengono: Stefano Malatesta e Mariano Pavanello.

In occasione della presentazione del volume sarà esposta al pubblico
una selezione d'arte africana della Collezione Berman.

Giovedì 26 novembre, ore 17.00 - Sala Conferenze
Museo Nazionale Preistorico Etnografico "L. Pigorini"


    Piazzale Guglielmo Marconi, 14 - 00144 Roma E.U.R.

    +39 06 549521 - fax +39 06 54952310

smn-pe.newsletter@beniculturali.it


http://www.pigorini.beniculturali.it/Eventi_e_News/Eventi/eventi.html

Wednesday 18 November 2009

Africa? Una nuova storia


Africa? Una nuova storia

Pubblicato il 16 novembre 2009

principale
Conferenza stampa di presentazione della mostra: "AFRICA? Una nuova storia", mercoledì 18 novembre 2009 alle ore 12.00 presso il Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Salone del Ministro, Via del Collegio Romano, 27 Roma

“Africa? Una nuova storia”: dal 19 novembre 2009 al 17 gennaio 2010 il Complesso del Vittoriano ospita per la prima volta nella capitale una grande mostra che vuole far conoscere l’arte contemporanea africana attraverso 80 opere tra dipinti, sculture, istallazioni, video di 30 artisti di diverse generazioni nati nei Paesi dell’Africa Sub-Sahariana. L’esposizione, a cura di André Magnin, è divisa in due sezioni: “La Collezione Pigozzi di Arte Contemporanea Africana” presenta le opere di artisti provenienti dalla celebre Collezione di Jean Pigozzi, il più importante collezionista di arte contemporanea africana; la sezione “ArtistiAfricani” è costituita dalle opere di artisti indicati da diverse Ambasciate di Paesi africani.

“Opere straordinarie e libere associano Storia, memoria e scambi e partecipano alla scrittura di una nuova Storia. ‘Africa ? Una Nuova Storia’ allarga gli orizzonti geografici dell’arte e rappresenta al tempo stesso un terreno nel quale Europa e Africa sono chiamate a riscoprire le loro radici comuni, per andare insieme incontro al futuro” (André Magnin).

La mostra è promossa dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri – Direzione Generale per i Paesi dell’Africa Sub-Sahariana.
La rassegna è organizzata e realizzata da Comunicare Organizzando di Alessandro Nicosia.

______________________________________
Organizzazione generale e realizzazione:
COMUNICARE ORGANIZZANDO

Ufficio Stampa Comunicare Organizzando:
Paola Saba
tel. 06/3225380, fax 06/3224014
cell. 329/9740555
e-mail: p.saba@comunicareorganizzando.it

con la collaborazione di:
Caterina Mollica
tel. 06/3225380, fax 06/3224014
e-mail: c.mollica@comunicareorganizzando.it



Informazioni Evento:


Data Inizio:18 novembre 2009
Data Fine: 18 novembre 2009
Luogo: Roma, Ministero per i beni e le attività culturali
Orario: 12.00 

Thursday 5 November 2009

"EUROPA chiama AFRICA"

Le nostre proposte


Venerdì 6 novembre ore 11.30

Sala delle Conferenze del Senato della Repubblica (Sala Caduti di Nassirya) Palazzo Madama – Piazza Madama, 11

Introduce:


L’On. Silvia COSTA

Saranno presenti:
l'on. Touadi, l'on. Narducci e il Sen. Di Giovan Paolo  con le proprie iniziative legislative


Interverranno:
Pietro Mariano Benni
Direttore MISNA


Suzanne Diku

Presidente Associazione Donne Congolesi "Tam Tam D'Afrique"


Padre Luigi Lo Stocco
Padre Saveriano

Teresina Cassi

Missionaria di Maria


insieme ad esponenti del mondo no-profit, del terzo settore, dell' associazionismo del volontariato, delle ONG e del mondo della Cooperazione Internazionale


Conclude:
L’On. David SASSOLI

-per l'accredito si prega di contattare la segreteria del Sen. Di Giovan Paolo 06 67063122-4122 oppure inviare la richiesta via mail a : roberto.digiovanpaolo@senato.it
-per gli accrediti dei giornalisti è necessario inviare richiesta all'Ufficio Stampa del Senato al numero di fax 06 67062947 06 67062947 ( completa di dati anagrafici e professionali ) oppure via mail: uff.stampa@senato.it Tel. Ufficio Stampa Senato 06 67063451 06 67063451
-per ulteriori informazioni contattare la segreteria dell'On. Sassoli ( david.sassoli@europarl.europa.eu ) o la segreteria dell'On. Costa (silvia.costa@europarl.europa.eu )
-si ricorda per gli uomini l'uso obbligatorio di giacca

Friday 30 October 2009

Il silenzio dei media sul Sinodo Africano

Nel silenzio pressoché totale dei media nazionali, la Chiesa Africana è riunita nel Sinodo di Roma. Non una parola, non un accenno, non un commento su questo evento di portata mondiale. E’ in questo modo che la comunicazione “laica” manifesta la propria apertura alle tematiche che non rientrano nella sfera del loro interesse specifico, che sembra essersi ridotto alla spazzatura del pettegolezzo -o gossip che dir si voglia- più trito e volgare. Mentre la stampa e i media nazionali si danno, dunque, un gran da fare per farci scegliere a chi credere -se a chi ci vuol convincere che siamo governati da una banda di corrotti e corruttori, o chi vuol dimostrare checitta-del-vaticano la giustizia è in mano a manipoli di attivisti partitici- noi continuiamo a restare “di fazione sul Calvario”, pregando il Signore di salvare il nostro paese dal caos. Riserviamo la nostra attenzione a cose più serie, lasciando che i Faraoni seppelliscano i Faraoni.

Nel nostro piccolo vogliamo fornire un’informazione seria, documentata e il più possibile completa, su questo evento.
http://donvirginio.files.wordpress.com/2009/10/sinodo-africano.pdf
fonte

ITALIA E SINODO AFRICANO

Carrissimi, se avete tempo leggete le "parole" di Fratini
Buona giornata.

Gemma

Roma - L'Africa "è una opportunità e non un problema": lo ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini, riferendo dell'incontro con la presidenza del Sinodo dei vescovi per l'Africa. Il titolare della Farnesina ha esortato a "invertire la logica" della cooperazione e degli aiuti, mettendo "al centro la perona", in modo che "gli aiuti arrivino ai destinatari reali". "Non è più possibile che 70 euro su 100 destinati all'Africa si perdano in corruzione e burocrazia" ha continuato Frattini, ricordando la proposta di una contabilità "trasparente" lanciata dall'Italia al G8 dell'Aquila. Il problema dell'accesso alle risorse alimentari, più volte richiamato anche dal Papa, è entrato nell'agenda del colloquio (anche il direttore della Fao, Jacques Diouf, ha preso la parola al Sinodo).
Per il ministro è fondamentale "lottare contro le speculazioni sui prezzi dei prodotti alimentari", perché "se oscilla il prezzo del petrolio ci vanno di mezzo le imprese, ma se oscilla il prezzo del grano o del riso per le speculazioni ci vanno di mezzo i poveri". Si è poi parlato delle principali crisi regionali. Al Sinodo hanno ricevuto particolare attenzione il Congo e il Sudan, e c'è stato un appello per la pace nella regione dei Grandi Laghi.

Frattini ha sottolineato l'impegno italiano in particolare Somalia e in Darfur, ma anche il contrasto al traffico delle armi, che – avrebbe detto uno dei cardinali presenti all'incontro – "non mancano mai". In ogni caso - ha concluso Frattini -, l'Africa è "un'opportunità e non un problema" e la partnership tra donatori e riceventi gli aiuti deve essere tra "partner eguali" e "anzitutto politica, non solo economica". (ban)

Monday 19 October 2009

Abebe Bikila

Tribute to an unforgettable african Hero.

Friday 16 October 2009

WORLD CHAMPIONS.......GHANA


WORLD CHAMPIONS
Simply The Best!!!!!!



Ghana beat Brazil in a penalty shootout to become the first African team to win the Under-20 World Cup. The match finished 0-0 after extra time, and Ghana's Emmanuel Agyemang-Badu scored the winning penalty to make it 4-3 after Brazil's Maicon missed a chance to win it at 3-2. Ghana defender Daniel Addo was sent off in the 37th minute for a late tackle on Alex Teixeira as he ran through midfield.

But Brazil wasted several chances and struggled to break down Ghana's tenacious defense at Cairo International Stadium.


from

Saturday 10 October 2009

[FELTRI E SUO PRINCIPALE CONTINUANO LORO FRECCIATE AD OBAMA]

[FELTRI E SUO PRINCIPALE CONTINUANO LORO FRECCIATE AD OBAMA]
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Il Nobel a Obama? Un Premio a Nulla
articolo di sabato 10 ottobre 2009

di Giuseppe De Bellis
E' stato premiato per aver promesso molto e non aver ancora fatto nulla. Una decisione imbarazzante, che finirà per danneggiarlo
Il Nobel a priori. Obama vince senza un motivo che non sia l’infatuazione collettiva e globale. Premi Barack e ti senti giusto, perché con lui non si sbaglia. I ruffiani di Oslo. È il sorriso per la stampa che oggi celebrerà l’incelebrabile. Lo sa persino il presidente Usa che questo riconoscimento è arrivato a prescindere. Lo premiano mentre sta per sganciare un’altra bomba al confine tra Afghanistan e Pakistan. Moriranno dei civili, perché sta combattendo una guerra. La pace che gli attribuiscono è lontana ed effimera, mentre le armi che usa sono vere. Cadono, distruggono, uccidono. Non lo fa per gusto, lo fa perché non può fare diversamente, perché potrà avere pace solo se continuerà a fare la guerra. Però il paradosso spiega l’ipocrisia di chi ha regalato un Nobel che sa di adulazione. Dicono che la candidatura sia stata presentata l’11 febbraio, cioè venti giorni dopo il suo insediamento alla Casa Bianca. È imbarazzante, grottesco, mendace. È la dimostrazione evidente e sfacciata che c’è stato un tavolino con attorno un gruppo di persone convinte di rappresentare il comune sentire. Chi premiamo? E hanno scelto il più scontato, banale, ovvio e al tempo stesso improbabile candidato. Perché questo è un premio al niente. È una scelta poggiata sul vuoto e su un grado di piaggeria sconfinato. Se l’è chiesto anche il suo staff: che cosa ha fatto Obama per guadagnarlo?

È vero, abbiamo visto il premio Nobel per la pace dato a un terrorista come Arafat, uno dato all’ambientalista inquinatore come Al Gore, però non avevamo mai visto il premio all’intenzione. Anzi: il premio alla speranza. Perché quella di Obama è una speranza di pace. Allora non c’è altra spiegazione che il circo mediatico-intellettuale che fa da contorno a ogni mossa del presidente americano. Il giro dei giri, un collettivo della lusinga, la compagnia di chi elogia servilmente. Concedergli la medaglia di pacificatore significava accarezzare i desideri e le convinzioni del mondo che lo circonda, spesso senza voler vedere quello che fa, quello che dice, quello che sceglie. C’è un non detto gigante attorno a Obama, c’è l’illusione che sia arrivato il leader globale che usa le parole al posto delle armi. È la banalità di chi non crede davvero che possa farlo, è la paura di chi è convinto che non sia all’altezza. Gli amici che diventeranno i suoi nemici: gli faranno del male, più di quanto facciano già ora. Barack ha una capacità unica di catturare le folle, ma poi fa politica con lo stesso cinismo degli altri: è la sua forza. Non si dica, però: non sta bene. Gli hanno tagliato un abito su misura che porta con stile, ma con un po’ di falsità: quello del presidente che tirerà fuori l’America e quindi il mondo dalla guerra.

Obama può vincere molte sfide, può sfatare molti pregiudizi, può tenere gli Stati Uniti al comando del mondo, però avrà sempre la zavorra di una claque globale che lo ridicolizza di fronte agli occhi dell’umanità. Il Nobel sguazza in questo intruglio di falsità e di innamoramenti adolescenziali che da un anno e mezzo fanno da contenitore delle uscite, dei viaggi, dei discorsi del presidente. Si proiettano su Obama scelte che non fa, ma che secondo il mondo dei fighetti con puzza sotto al naso dovrebbe fare. Così quando il presidente dice che non tralascia alcuna opzione nella trattativa diplomatica con l’Iran, viene sempre fuori la verità di comodo: «Obama tende il braccio verso Teheran». Il resto è omesso, dimenticato, scartato, taciuto perché non è quello che un presidente democratico dovrebbe dire. E cioè che nessuna opzione significa che c’è la possibilità della guerra, di un’azione preventiva, unilaterale, diretta. Ricorda Bush? Appunto. Perché Barack non ha cambiato di una virgola la politica estera dell’amministrazione precedente. Però a George W. nessuno si sarebbe sognato di dare un premio.

Invece è un po’ come se il Nobel l’avesse vinto anche lui ieri. Blasfemia, per i nemici dell’America, ma amici a prescindere di Obama. Che poi sono la fregatura del presidente Usa, la sua dannazione, il suo peso perenne. Il premio che Barack accetta con classe nasconde insidie, difficoltà, ostacoli. Perché l’amministrazione sta per chiedere al Congresso di mandare 40mila soldati in più a combattere in Afghanistan. Combattere. Quindi uccidere. Quindi morire. Guerra, non pace. Quanto costerà politicamente a Barack? Quanti pacifisti rinvigoriti dalla consegna del Nobel, lo considereranno un traditore? Obama sa che non c’è alternativa alla guerra, non ora. Sa anche che questo è quasi un dispetto di chi non conosce gli americani. Perché oggi noi europei leggeremo i commenti entusiasti dei giornali e dei leader politici, ascolteremo dichiarazioni epocali, sentiremo giudizi definitivi sulla grandezza di Obama. L’America no. L’America criticherà, l’America penserà ad alta voce quello che noi abbiamo solo il coraggio di bisbigliare: perché? Si darà una risposta che qui sarà scartata perché è politicamente scorretta: vince per una lobby mondiale che s’è innamorata di lui, vince perché è nero e ci sentiamo ancora un po’ in colpa, vince perché il Nobel non serve se non a riempirsi la bocca di vuoto. Hanno premiato le parole, la speranza, gli ideali. Hanno glorificato il nulla, hanno tradito anche le aspettative che Obama incarnava: se era questo Barack, se ci basta questo per osannarlo, ci basta poco. E con poco non si fa la storia.


Wednesday 7 October 2009

Rastrellamento al Pigneto, gli abitanti non ci stanno

Rastrellamento al Pigneto, gli abitanti non ci stanno
.......Dopo la gravissima operazione della guardia di finanza contro gli africani del quartiere romano, oggi hanno preso parola i residenti del quartiere, che lamentano il clima di paura e denunciano le manovre speculative dietro la pulizia etnica di via Campobasso. Con la scusa della «sicurezza»........
http://extracomunitari.blogspot.com/2009/10/rastrellamento-al-pigneto-gli-abitanti.html

Friday 2 October 2009

Libya halts execution of Nigerians on death row

Libya halts execution of Nigerians on death row

By Davidson Iriekpen, 10.01.2009 
Thursday, October 1, 2009

Temporary relief has come the way of Nigerians on death row in Libya as the country's authorities have agreed to stop their execution. The suspension was made  pending the final determination of a case brought by Socio-Economic Rights and Accountability Project (SERAP), a non-governmental organisation (NGO), before the African Commission on Human and Peoples’ Rights, in Banjul, The Gambia.
THISDAY gathered the decision by Libya followed a Provisional Measure issued by the African Commission which ordered the country to halt the execution.
The North African country's adherence to the measure was made known in a paper titled Debating the Death Penalty: Experiences from Different Regions, dated September 25, 2009 and presented by a member of the African Commission, Ms Catherine Modupe Atoki, at the International Peace Institute in New York last week.
“Early September this year, a communication was filed with the African Commission against Libya by a Nigerian Non-Governmental Organi-zation, Socio-Economic Rights and Accountability Project (SERAP). It alleged that over 200 Nigerians are on death row for offences ranging from immigration, murder, drug and armed robbery. 

"The Commission requested from the President of Libya a provisional measure to stay execution pending the determination of the communication. Happily, the President obliged and for now there is a hold on the execution of the convicted persons," said Atoki who delivered the paper.
It was gathered that one of the prisoners, Miss Juliet Okoro, reportedly claimed that the accusation of murder for which she has been placed on death row since 2000 was forged. Her indictment, she further claimed, followed no legal representation.
However, Okoro confirmed that the Libyan President, Muammar Gaddafi had granted amnesty to the convicts who are waiting for the Nigerian embassy in Libya to sign some documents for their deportation.
SERAP’s lawyer, Mr Femi Falana, welcomed the news of suspension but challenged the Nigerian government to be more responsive to its citizens abroad.

“It is now time for the Nigerian government to show responsibility by immediately ensuring the safety and well-being of the Nigerians on death row in Libya, and facilitating their safe return back home. The continuing silence and inaction of the Nigerian government on this matter is a failure of leadership and simply unacceptable,” Falana said. 

The feisty lawyer asked President Umaru Musa Yar'Adua to rise up to the occasion in defending the rights of Nigerians across the world. According to him, the Libya case is proof that the rights of Nigerians outside the country could be protected when and if their government takes action.
It is important for the government do discharge its "Constitutional and International responsibility," towards Nigerians he added. Falana commended the Chairman of the House Committee on Diaspora, Hon. Abike Dabiri-Erewa, and SERAP for fighting for the rights of the condemned persons.
SERAP had through its solicitor, Falana, filed a case before the African Commission on September 6 2009, on behalf of the prisoners.
He alleged "serious, persistent and irreparable violations of the Complainants’ rights to life; to communicate with their embassy or consular post; to competent and effective legal representation; to trial within a reasonable time or to a release; to trial by a competent, independent and impartial tribunal established by law; to the presumption of innocence; to an interpreter and to translation; to appeal to an independent and impartial tribunal, and fair trial guarantees during appeals.”
The Commission in the Provisional Measures with reference number ACHPR/ PROVM/LIB/01/75, dated September  9, 2009, and signed by Acting Chairperson of the Commission, Bahame Tom Mukirya NYANDUGA, expressed concern about Nigerians on death row and those held under "inhuman and degrading treatment," in Libya.
The Provisional Measures reads in part: “The Complaint has been registered as a Communication against Libya. I would also like to inform you that the Communication shall be tabled before the African Commission, for seizure during its next Ordinary Session, which is scheduled to take place from 11-25 November 2009, and will subsequently be sent to the authorities.” 

The Commission also said: “In accordance with Rule 111(3) of the Rules of Procedure of the African Commission, I urge you to intervene in the matter with the view of preventing irreparable damage being caused to the victims while the African Commission inquires about the veracity of the Complaint. The appeal is particularly pertinent in respect of the imprisoned Nigerians, whom the Complainant alleges that they await the death penalty.” 

The African Commission is the body charged with overseeing compliance with legal obligations under the African Charter on Human and People’s Rights.
news

Thursday 1 October 2009

INVITO : INCONTRO DIASPORA DEGLI INTELLETUALI NERI IN ITALIA -REDANI

Salve a tutti,
Per la prima volta nel mese di Luglio, ci siamo riuniti per riflettere sulla  presenza della comunità nera in Italia e discutere della possibilità della creazione di una rete per una collaborazione proficua. Da allora sono partiti i lavori per la concretizzazione di un progetto, nato , appunto in quella giornata, come da verbale.
Il nostro percorso sulla creazione di una rete sulla diaspora intelletuale nera, continua.
A breve una comunicazione completa sull'ordine del giorno con i documenti necessari alla partecipazione dell'incontro, vi invito tutti al prossimo incontro:
 
DOVE:  BOLOGNA AL CENTRO INTERCULTURALE MASSIMO ZONARELLI 
INDIRIZZO: VIA G.A. SACCO, 14 (una traversa di via del Lavoro)
QUANDO: SABATO 3 OTTOBRE 2009
ORARIO: ORE 10.30-16.30/ 17
 
Si chiede gentilmente di confermare la vostra presenza  e possibilmente ora di arrivo a Bologna a Cécile ( 328-5991970- ckyenge@gmail. com ) oppure a Kossi (kossikom@gmail. com) , rispondendo semplicemente all'invito. Come l'ultima volta un servizio di navetta verrà organizzato dalla stazione centrale alla sede dell'incontro.
 
A presto!
Vi aspettiamo numerosi a BOLOGNA
 
Dorcas Mpemba Ngalula
Coordinatrice Festival  Cultura Africana
Coordinamento Arci Migrante(Africa)
Via Cernaia,14 - 10122 - Torino
cell:  329-1293861
cell ARCI : 348-3605921
mail: africa@arcitorino. it
mail: dorcas.mpemba@ gmail.com
Facebook: http://www.facebook .com/profile. php?id=163481259 0&ref=profile# /profile. php?id=163481259 0&ref=profile

Saturday 26 September 2009

La nostra Somalia era. La nostra Somalia forse sarà.

La nostra Somalia era. La nostra Somalia forse sarà.

La nostra Somalia era…
Era…cosa aggiungere di più?
Era, esisteva, respirava, amava.
Era qualcosa quindi. Come lo sono oggi il Senegal, la Francia, il Venezuela. Aveva strade, elettricità, acqua potabile, monumenti, scuole. Potevi danzare sulla sua architettura. Era come in quella canzone del rapper somalo-canadese K’naan che dice:

Mogadishu used to be
A place where the world would come to see
Jaziira, sugunto liida, wardhiigleey iyo Madiina
Hargeysa, Boosaaso, Baardheere iyo Berbera
My skin needs to feel the sand, the sun
I’m tired of the cold, god damn soobax
Poi un giorno è morta.
La data ufficiale Gennaio 1991 quando il vecchio dittatore Siad Barre (conosciuto da tutti come Boccagrande per la sua voracità) ha lasciato Mogadiscio per sempre.
Ma le date ufficiali non contano. La Morte celebrale risale a molto prima, al 1978 forse. È in quell’anno che il popolo somalo ha capito che Siad Barre dava nomi di sogno a degli incubi stratificati. Erano nomi che servivano a rendere la dittatura bella da guardare.
Il popolo frustrato cominciò in quella data a morire poco a poco.
La Somalia oggi dopo Boccagrande, dopo una guerra inspiegabile, è ufficialmente morta.
A Dir la verità oggi è improprio parlare di Somalia. Quando la si nomina dobbiamo avere tutti la consapevolezza che stiamo nominando qualcosa che non esiste più.
È morta. Ma ecco basta questa parola, morta, per decifrare l’inspiegabile rebus della Somalia?
Comunque una cosa è certa non è ancora risorta la disgraziata.
Nel frattempo è diventata un mostro, una anomalia, uno zombie. È morta, ma continua a vivere. Non c’è lo stato, ma il resto funziona…a volte anche molto bene. Basti pensare al business delle rimesse dei migranti che arrivano in quella nazione distrutta con la rapidità che ci si aspetterebbe per un invio du denaro a Londra o a Parigi.
Quindi la Somalia, per riassumere, è morta, è diventata un mostro e non si sa bene se la poveretta avrà una resurrezione.
Ma come può averla se tutti litigano? Ti dicono tutti, ricchi e poveri, che e’ questione di identità e non cedono. Ti dicono “sei proprio stupido se pensi che gli altri cederanno. La pace non esiste, dolcezza. Esiste solo questa cosa. Devi combattere dolcezza perché così è scritto”. E tutti a rifugiarsi sotto l’ombrello di una causa persa. Uno dice tu sei un venduto, l’altro dice sei un terrorista. I clan dicono io mi devo difendere, devo sopravvivere. I più grandi vogliono regnare, i più piccoli hanno paura di diventare come il dodo un animale estinto. Allora si accettano compromessi. Chi i soldi dell’Occidente, chi i soldi di un uomo dalla barba lunga e canuta nascosto in una grotta chissà dove. Si gioisce per un ferro che scarica pallottole. I clan più grandi li contano avidamente. Dicono “Abbiamo tanti ferri. Al tavolo della riconciliazione sarò io ad avere più potere”. I più piccoli si illudono che i 5 ferretti ottenuti con lacrime e sangue potranno permettere a qualcuno di loro di sedere a quell’ipotetico (molto ipotetico!) tavolo. Non sanno di avere perso tutti. Che quel tavolo a queste condizioni non si potrà mai fare. “Anch’io avrò la mia fetta di torta” gridano tutti. Purtroppo la torta non c’è. Come può esserci se ci sputano ogni giorno sopra? La torta è la nostra terra e non c’è più rispetto per la terra, per i suoi fiumi, per il suo mare, per la sue piante, per le sue bestie. Ma ecco parlare con i nostri concittadini a volte è impresa vana. Continuano a fare proclami e a cambiare faccia a seconda della situazione. Sono labowagile, esseri dalla doppia faccia. Un mese si sta sotto un ombrello, il mese dopo sotto un altro. Quello che un tempo era un paese grande quanto un sogno ora è diventato briciole di paure stratificate. Somaliland, Putland., Jubaaland, Nonsocheland! La verità è che siamo tutti di Zeroland. Alla fine dovremmo cambiare nome, non più somali, ma i fantasmi del paese dello zero, Io cittadino di Zeroland. Perché alla fine è quello che siamo: zero. Ci stiamo cancellando volontariamente. Certo il resto del mondo ci sta dando una mano, ci sono più trafficanti di armi in Somalia che in tutta Europa messa insieme. Poi si sa che la Somalia è ricettacolo di rifiuti tossici e traffici illeciti di vario tipo (non è un caso che si sia sviluppata la pirateria in Somalia. I pirati hanno fiuto, seguono l’odore di marcio dei traffici e del denaro sporco. E in Somalia ahimè c’è marcio a iosa) ma ecco nonostante gli altri, nonostante le armi, i rifiuti, la criminalità organizzata, nonostante tutto mi sento di dire (e me ne prendo la responsabilità) che quello che sta succedendo in Somalia è colpa nostra. Alpha Blondy in una sua nota canzone diceva:
j’insiste, je persiste et je signe les ennemis de l’afrique ce sont les africains,
Mi dispiace dirlo ma è così. Siamo noi gli artefici del nostro destino nefasto.
La delusione più grande io ce l’ho quando guardo la mia diaspora, sia quella di Roma sia quella di Minneapolis o Londra o Stoccolma. Si qui in questo argentato occidente la delusione è senza pari quando vedo che la vecchia diaspora, quella emigrata negli anni ’70, ’80, ’90 è guerrafondaia al pari dei tanti matti signori della guerra che ci sono laggiù. La democrazia non è entrata in circolo. E noi che ci speravamo! Miseria ladra! Ma sai in ognuno di noi c’è attaccata come fuliggine questa anarchia, questa babilonia. Ci scorre nelle vene e non riusciamo a contrastarla. Ci perseguita e noi siamo poca cosa davanti a lei. Perché non riusciamo a cambiare? Non siamo peggio di altri popoli. Sappiamo amare, conosciamo la lealtà, siamo ironici, crediamo in Dio. Nonostante tutto siamo fermi in questo labirinto di dolore creato dalle nostre mani. Fermi, fissi, non funzionanti, spenti.
C’è una cosa che i somali di tutto il mondo, dal Minnesota al Yorkshire, dalla Toscana alla Renania fanno: il faddi ku dirir, la guerra da seduto. Ci si ritrova per parlare della nostra situazione nei salotti spogli del nostro esilio. Ognuno tiene la sua posizione e non la molla. Ognuno parla con nonchalance delle alleanze e delle armi che ha. Armi che forse non ha usato in vita sua. Ci sono persone partite prima della guerra che conoscono a menadito i diametri delle pallottole, però non hanno mai sparato. Mai ucciso, mai visto morire. Ma il faddi ku diriir ha le sue regole, partecipano tutti e stranamente chi non ha mai visto la guerra è quello più violento. Prendono sussidi statali o fanno lavori normali. Poi la sera ci si attacca a internet. Surfiamo tutti su Hiraan, Merkaaddey, Bravanet, Bartahama.com, visita di rito alla vignetta di Amin Amir (te lo abbiamo fatto vedere il Vauro somalo, ha il tratto tagliente come una lama quell’uomo). Destino comune dei somali, ricchi e poveri, surfare e farsi travolgere dalle onde che ti arrivano sul capo come macigni. Non capiamo le notizie, ci travolgono e basta. Poi si nel faddi ku dirir si parla molto e spesso a vanvera. “Beh” ti dice uno “non sono contento di stare sotto questo ombrello, ma loro mi hanno dato la protezione. Ora mi posso salvare il culo. Ho qualche A-47. Prima non avevo nulla. Certo non mi hanno dato delle Tecniche, ma ci arriverò. Quando arriveranno i miei nemici gli aprirò il culo. Prima cos’ero? Pagavo il pizzo! Meglio questi che si coprono le mie donne, ma insomma meglio coprire loro che perdere la terra”. L’altro invece si bea di avere una cassa di soldi dall’Occidente e dirà “Noi vogliamo la nostra autonomia regionale. Siamo ricchi e crediamo nei diritti umani. Non vogliamo mischiarvi con le vostre squallide faccende del sud. Stiamo bene e abbiamo la pancia grossa. E poi noi le armi le facciamo, mica le elemosiniamo come voi”. Ma poi scopri che in quell’angolo di Somalia nessuno rispetta i diritti umani, forse non coprono le donne, ma tagliano i genitali agli uomini. Chi non ha niente guarda chi ha e sogna di avere qualcosa per poter anche lui uccidere, massacrare, dominare. Ognuno guarda al più debole, ognuno prima soffoca quello e si rafforza per poi vedersela con il più grande. Ma bada bene è un faddi ku dirirr sono parole da seduti. E alla fine finisce il tempo. Si deve ritornare a casa della mogli o dai mariti. La guerra di parole è finita. Ci si da pacche sulle spalle e si chiedi “ma che fanno stasera su Channel 4 o meglio vedere al jazeera? Sulla nostra Universal TV fanno vedere il consiglio dei soldati e quello a cui hanno tagliato la mano. Sono indeciso. Mi consigli?”. Il tuo nemico del faddi ku dirrir ritorna ad essere una persona. Ma solo per poco. Nelle mura di casa la Tv viene accantonata e si comincia a fare giri di telefonate planetarie. “Ma lo sai che tal dei tali avrà un carico di armi?” e si comincia di nuovo a parlare, parlare, parlare. E il niente si fa più devastante. Poi non è raro vedere qualcuno di questi che sono immigrati all’estero che poi fanno un po’ di soldi e si trasformano in signorotti di guerra, in sanguisughe e avvoltoi. E i figli crescono male, senza conoscere i padri persi in una guerra che anche loro non capiscono un granché.
Quando l’angoscia mi sovrasta penso alle parole di Obama in Ghana: Il futuro è nelle vostre mani. Africa rimboccati le mani e potrai farcela.

Ogni tanto cercano di riportarla in vita questa Somalia del niente, sono stati tanti i tentativi di farla respirare di nuovo, ma sa non è mica facile ridare la vita ad un paese morto. Noi non siamo sicuri che si può fare. Ma ecco non ci costa niente crederlo. Per questo crediamo che magari forse un giorno chissà succederà. La vita è strana. Se una giraffa può volare, allora la Somalia può rinascere.
Si ci dobbiamo rimboccare le maniche. E dobbiamo farlo subito. Prima che sia troppo tardi.
 FONTE

Monday 21 September 2009

17 peacekeepers killed in Suicide attack in Somalia

17 peacekeepers killed in Suicide attack in Somalia
Mark Leon Goldberg - September 18, 2009 - 10:23am

This is a truly terrible development. Suicide bombers used white cars with UN markings to gain entry to an AMISOM base in Mogadishu. Dozens of people, including 17 African Union peacekeepers and the deputy force commander were killed in the attack. AMISOM is a force of about 5,000 troops from mostly Burundi and Uganda, which is the only international force trying to bring a semblance of stability to Somalia.

Here is Ban Ki Moon's statement:

I am shocked and outraged by the reported suicide attack against AMISOM Force Headquarters in Mogadishu today. The attack has reportedly killed or wounded a number of AMISOM troops including at the command level.

AMISOM is in Mogadishu to help end the conflict that has ravaged the country for the last 20 years, and for a better future in which all Somalis can live in peace and security.

We – the United Nations – remain committed to continuing to work with the Transitional Federal Government and the Somali people to facilitate reconciliation and the political process, build Somali security and rule of law institutions and provide humanitarian assistance. The United Nations stands by the African Union and AMISOM and will continue to support AMISOM's deployment and operations. UN resources from neighboring peace operations are on standby to assist the African Union to respond to the incident today as required.

I condemn in strongest possible terms this entirely unacceptable attack on those who are there to help foster peace and I call upon all Somalis to renounce violence and to work with the Transitional Federal Government towards national reconciliation.

I express my sincere condolences to the families, the contingents and Governments of those who lost their lives and my sympathy for those who have been wounded.
http://www.undispatch.com/node/8889

Saturday 19 September 2009

CAMORRA: UN ANNO FA LA STRAGE DI CASTEL VOLTURNO


Un agguato che non aveva precedenti per ferocia e determinazione nella storia degli agguati messi a segno dalla camorra e che provocò la reazione della comunità africana degenerata in una lunga serie di atti di vandalismo. Il 18 settembre del 2008, sei immigrati africani - di Ghana, Togo e Liberia - furono ammazzati a Castel Volturno (Caserta) da un gruppo di Casalesi, guidato da Giuseppe Setola, che armato di kalashnikov e pistole spararono all'impazzata davanti ad una sartoria gestita da un africano.Un eccidio, secondo gli inquirenti, motivato dal fatto che gli africani avevano deciso di gestire in proprio il traffico di droga senza più sottostare alle regole imposte dal clan, un atto di ribellione che non poteva essere accettato dai casalesi.


Una strage in cui è possibile che un paio di immigrati siano morti solo per essersi trovati nel posto sbagliato. "La strage di Castel Volturno è stato un episodio nero - ha detto il comandante provinciale dei carabinieri di Caserta, colonnello Carmelo Burgio - oggi i responsabili sono tutti in carcere. La partita non è conclusa, ma il periodo di Setola e company è finito". Anche se, le radici che i clan hanno messo nel territorio non sono ancora state divelte. "La camorra è un fiume carsico che agisce in profondità e che ricomparirà non appena si attenueranno i controlli delle forze dell'ordine", sostiene il sindaco di Castel Volturno, Francesco Nuzzo. E, ad un anno dalla tragedia, è opportuno ricordare l'ondata di indignazione civile che quell'eccidio suscitò, dice l'assessore regionale all'istruzione della Campania, Corrado Gabriele.Il 18 settembre i sei immigrati africani saranno ricordati nel corso di una cerimonia, in programma nel luogo della strage, alla quale è prevista la partecipazione di autorità, cittadini ed di una larga rappresentanza di associazioni antirazziste. "Per non dimenticare uno degli atti più odiosi mai verificatisi in questa regione, nei confronti degli immigrati", ha sottolineato in una nota Mimma D'Amico, responsabile della comunicazione del Centro sociale ex canapificio di Caserta, che opera da anni a favore degli immigrati. Perché la strage e le manifestazioni di guerriglia urbana che sono seguite, hanno anche contribuito ad acuire il contrasto tra la popolazione locale e gli immigrati rendendo la convivenza difficile.


"Castel Volturno non è una città razzista - ha spiegato il sindaco - ma c'é una forma di malcontento per la presenza massiccia di immigrati clandestini sul territorio".Per Prosper, ghanese di Castel Volturno attivista del Movimento dei Migranti e dei Rifugiati "i lavoratori immigrati, sono gli stessi lavoratori stagionali che raccolgono pesche, arance, patate, pomodori e che vengono licenziati dalle fabbriche perdendo lavoro e permesso di soggiorno".Alla cerimonia sarà anche presente una larga rappresentanza di Libera. "Ad un anno di distanza saremo sul luogo della strage - sottolinea Valerio Taglione, referente provinciale dell'Associazione di don Ciotti - per difendere la memoria e la dignità delle sei vittime e per chiedere giustizia a partire dal riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno".

Thursday 17 September 2009

AFRICAN RELIGIOUSITY IN DIASPORA

AFRICAN RELIGIOSITY IN THE DIASPORA:
Caribbean Experience
George Mulrain

The African presence in the Caribbean region dates back to the fifteenth century. The original inhabitants were Amerindian tribes of Caribs and Arawaks. It is from the name Carib that we get the term Caribbean. These indigenous people were virtually wiped out by European invaders and replaced by slaves to supply labour needs for the sugar plantations. Historical research based on the period of slavery indicates that the new settlers were mainly drawn from West Africa. According to Curtin (1969), they came chiefly from eight coastal regions: Senegambia including modern day Gambia and Senegal; Sierra Leone; the Windward Coast, including Liberia and the Ivory Coast; the Gold Coast, chiefly modern day Ghana; the Bight of Benin, including "Dahomey" and present-day Togo; the Bight of Biafra, including the Niger, Cross and Duala rivers; Central Africa, corresponding with present-day Angola; South eastern Africa, including Madagascar.

To understand the nature of African religiosity in the Caribbean, one has to examine some of the African influenced religions and religious expressions that exist within the region. These include what have often been referred to as retentions or samples of African Traditional Religion. There is Shango, a feature of the Orisha faith in Trinidad and Tobago; Santeria in Spanish speaking Cuba; Vaudou in the French and Créole speaking republic of Haiti. Ras Tafarianism is a religious phenomenon that emerged initially in the 1930s as a Jamaican cult in response to the need for persons within the diaspora to maintain an attachment to the ancestral homeland of Mother Africa.

There are also those religious expressions that bear a strong African flavour and have been heavily influenced by Christianity. Of note are the Spiritual Baptists in Trinidad and Tobago, Saint Vincent and Barbados; Pukkumina and Revivalism in Jamaica. These constitute attempts to adapt the Christian faith to suit African cultural facets. The presence of all these religions and religious expressions has added new dimensions to Caribbean theological understandings. God is perceived as interested in men and women being themselves, as products of their culture, as they seek to respond in worship and service to Him.
The African perception of the universe is one that contains both visible and invisible worlds. This cosmos is spirit filled, with a supreme spiritual being, a number of lesser spirits, human beings and nature. The cynics refer to this cosmology as tainted with animism, by which they mean the attribution of lifelike qualities to lifeless objects. Behind the idea of animistic beliefs, though, is an acknowledgment that truth is not confined to that which is empirically testable. There are spiritual truths. Although not visible, there are spirits pervading the universe. It is equally the case that animists try to understand the reality of God and the invisible world with the help of physical, visible objects. Focusing upon visible objects can be of assistance in the process of meditating upon that which though unseen is real.

Associated with a belief in spirits is a commitment to the idea that the life one enjoys in the visible, physical world is not all. It is possible, through death as a rite of passage, for individuals to be ushered into a new existence in the spiritual abode. Caribbean theologians argue that the cosmological understandings that obtain within African Traditional Religion are in effect an extension of the biblical cosmos. The Bible makes mention of spiritual beings - angels, archangels, good and evil spirits, principalities, powers and forces. According to New Testament writings, one can expect that there is life in the hereafter, itself quite likely a spiritual type of existence.

There is the strong belief that the spirit world is one of power, hence to succeed in life, it is necessary sometimes to make appeals to those in the positions of privilege. Spirit possession is one way whereby the follower of African traditional religion acquires positions of power. It is a means through which the individual, under the guise of a spirit, derives inner strength to perform remarkable feats that could not be performed under normal circumstances. In fact, there is an historical belief that the spirit world, with all its power, acted decisively in favour of Haitians during their struggle for independence against the French. Therein was proof enough about the liberating role of religion. Sometimes one thinks of religion as being merely an agent of social control, when in fact it is a very revolutionary force.

Perhaps chief among the components of African religiosity is an understanding that there is no rigid demarcation between the secular and the sacred. This is particularly so because all life is spiritual, in the sense that they are lived in full glare of the spiritual presence. Because African religiosity is committed to the idea that sacred and secular blend into one, it is not necessary for the individual to put life into different compartments. The individual is allowed to be himself or herself without having to ape persons of other religions or cultures. He or she can make use in worship rituals of the language patterns of everyday life, the musical idioms of the people, including drumming and dancing. Myths, legends, proverbs, symbolism of movements, of colour, of language and of objects are all part and parcel of African religiosity.

It is not always easy for the outsider to ATR to appreciate symbols and symbolism, with the result that some have been negatively critical, referring to African religiosity as superstitious and demonic. African Traditional Religion is an honest attempt by persons to commune and to communicate with the celestial realm. The communication between God and human beings is possible through dreams, visions, spirit possession, prayers, libations, sacrifice, transmigration of souls. An interesting theological debate is whether in attempting to maintain communication links with the spiritual abode, adherents are worshipping or venerating the spirits. In contrast to the view that Africans are worshipping the spirits is the idea that God is worshipped through the spirits. Whatever the dominant opinion, the reality is that worship is a virtual celebration. It involves all the energies that people can summon. It is a worship that posits quite the opposite to Quaker
religiosity, where the emphasis is on silence.

African religiosity subscribes to a God who is not limited but all embracing. John S. Mbiti’s book Concepts of God in Africa helps us to appreciate that there is no one correct way of understanding God. On the contrary, God is perceived by the different peoples of Africa in ways that relate directly to their experience of divinity. God is viewed, for example, as father, mother, creator, ancestor, the one who provides – just to mention a few. The so called modern theological debates that are taking place, especially in the West, about the femininity of God or the liberating intent of God have already been dealt with by Africans. When a Caribbean worshipper within the African Traditional Religious sphere thinks of God as creator, it may include the idea that in the creation, there have been provided all that is needed for men and women to be healthy. For this reason, health and wholeness figure prominently among the concerns of practitioners of African Traditional Religion in the Caribbean. Therein lies a challenge for western medical science to see what benefits might be derived from the use of herbs, folk psychiatry and other insights that derive from African based practices.

African religiosity in the diaspora has altered little. It is true, for example, that African Traditional Religion has been affected by syncretism, so there are equivalences established between the names of African spirits and those of Roman Catholic saints. However, there is a philosophical premise that has emerged and will continue to be genuinely African. It is the positive approach to life that insists that nothing will be a real problem. Jamaicans say "No problem", Haitians say "Bondié bon" ("God is good"). These emphasize a fundamental philosophical belief among people of the Caribbean diaspora that God, the supreme being will always be on their side. As a product of African religiosity, one learns to perceive of the physical world as an ally rather than as an antagonist. And remember, that physical world is not purely secular; it is sacred too.

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BIBLIOGRAPHY

Barrett, Leonard E., The Sun and the Drum: African Roots in Jamaican Folk Tradition, London: Heinemann, 1976
Barrett, Leonard E., The Rastafarians – The Dreadlocks of Jamaica, Kingston, Sangster & Heinemann, 1979
Chevannes, Barry, Rastafari: Roots and Ideology, NY, Syracuse University Press, 1994
Curtin, Philip D. The Atlantic Slave Trade: A Census, Madison, 1969
Hurbon, Laennec, Dieu dans le Vaudou Haitien, Paris, Payot, 1972
Kilson, Martin L. & Rotberg, Robert I., The African Diaspora – Interpretive Essays, Cambridge, Harvard University Press, 1976
Mbiti, John S. Concepts of God in Africa, London, SPCK, 1982
Moorish, Ivor, Obeah, Christ and Rastaman, Cambridge, James Clarke, 1982
Moreno Vega, Marta, The Altar of My Soul: The Living Traditions of Santeria, New York, Ballanatine Publishing Group, 2000
Mulrain, George, Theology in Folk Culture: The Theological Significance of Haitian Folk Religion, Frankfurt, Peter Lang, 1984
Murrell, Nathaniel S., Spencer, William D., and McFarlane, Adrian A., eds, Chanting Down Babylon – The Rastafari Reader, Philadelphia, Temple University Press, 1998
Sankeralli, Burton, ed., At the Crossroads: African Caribbean Religion and Christianity, Trinidad, CCC, 1995
Simpson, George Eaton, Black Religions in the New World, New York, Columbia University Press, 1978
Thomas, Eudora, A History of the Shouter Baptists in Trinidad and Tobago, Trinidad, Calaloux Publications, 1987
source

Wednesday 16 September 2009

STOP MGF

Mai più mutilazioni genitali femminili

“In Italia sono circa 90mila le donne immigrate che hanno subito le pratiche della mutilazione
genitale femminile (MGF), diffuse in 28 paesi africani, in Medio Oriente e nel sud est asiatico.
Inoltre esiste un alto rischio che le figlie di queste donne, bambine e adolescenti, subiscano tali
pratiche nel corso della loro permanenza in Italia o durante un periodo di vacanza nel paese
dei genitori”. Questi i risultati presentati da Pilar Saravia, presidente dell’Associazione NoDi – I
nostri diritti - a conclusione del progetto STOP MGF, finanziato dal Dipartimento per le Pari
Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Le vittime di queste pratiche, supportate nel nome della tradizione, sono soprattutto bambine
tra i 4 e i 15 anni: l’età a rischio è soggetta ad un graduale abbassamento per evitare
eventuali resistenze da parte delle stesse bambine, che, una volta adulte, subiranno con gravi
conseguenze psicologiche sofferenze fisiche provocate da malattie, rapporti sessuali dolorosi,
infertilità, infezioni e parti pericolosi.
L’Associazione NoDi, che da anni s’impegna in azioni concrete per il rispetto della dignità della
donna immigrata in Italia, ha affrontato il difficile tema delle mutilazioni genitali femminili
attraverso una campagna di sensibilizzazione e di prevenzione tra la popolazione migrante,
proveniente dai paesi a rischio e insediata nella Regione Lazio.
Il progetto STOP MGF, iniziato nel febbraio 2007, si è sviluppato attraverso tre fasi: formazione
degli operatori socio sanitari, curata dal San Camillo – Forlanini, ricerca del fenomeno,
realizzata dall’IRPPS-CNR, e sensibilizzazione/prevenzione delle comunità interessate, seguita
da NoDi.
In venti mesi l’associazione NoDi ha mappato i luoghi d’incontro e dei servizi utilizzati dalle
comunità a rischio sul territorio laziale, ha incontrato i mediatori culturali, ha prodotto e
distribuito materiale cartaceo sul tema. Ha quindi realizzato incontri di sensibilizzazione e
informazione con gruppi di vittime o a rischio di MGF nelle cinque province laziali per un totale
di 800 donne. Infine ha realizzato il sito d'informazione http://www.stop-mgf.org/ che ospita anche un forum per lo scambio di esperienze.
Se nel parlare dell’argomento la prima reazione delle donne coinvolte è la diffidenza, la parola
chiave per rompere il silenzio è quella della salute, un diritto garantito dalle leggi nazionali dei
paesi a rischio, che tendono a contrastare tali pratiche pur trovando grandi difficoltà nella loro
applicazione, soprattutto nel contesto rurale.
In Italia le MGF sono un reato punibile con il carcere (Legge 9 gennaio 2006 n. 7): l’obiettivo è
quello di scoraggiare l’uso di queste pratiche nella società italiana
.


INFO
http://www.stop-mgf.org/

UFFICIO STAMPA:
email maipiumgf@gmail.com
Maria de Lourdes Jesus cell 3391737455
Ilaria Marchetti cell 3381917190
Francesca Vitalini cell 3393390878

Wednesday 9 September 2009

SANDRINE NGALULA MUBENGA

Une jeune savante de la RDC, Sandrine Ngalula Mubenga, se voit décernée le trophée « Nkoyi Mérite » à WashingtonKinshasa, 31/08/2009 / Politique
La voiture électrique qu'elle avait inventée est déjà sur le marché. Le sénateur de OHIO et le gouverneur de cet Etat ont eu l’occasion de féliciter la jeune congolaise pour ses prouesses.
Sandrine Mubenga, une compatriote résidant aux Usa, a été honorée par la communauté congolaise basée à Washington DC du trophée « Nkoyi Mérite » de l’année 2009 pour avoir abattu un travail de professionnalisme d’ingénieur en électricité. Pendant la cérémonie de remise de cette récompense, les organisateurs n’ont pas caché leur fierté de voir une jeune femme congolaise parvenir à fabriquer un véhicule qui roule sur l'hydrogène. Au regard de ce travail de titan, la communauté congolaise considère l’heureuse lauréate comme une femme modèle congolaise qui est entrée dans l’histoire du monde dans le secteur de la technologie moderne. C’est l'ambassadeur de la République Démocratique du Congo en Rdc qui a remis en personne le prix ainsi que le trophée pour le travail réalisé. C'est là une étape très importante pour Sandrine Mubenga qui voit ses mérites reconnus. Un parcours digne d’élogesCe n’est pas la première fois que Sandrine Ngalula Mubenga se fait remarquer par ses prouesses scientifiques et épate un large public avisé par ses inventions. En effet, il nous revient des sources familiales qu’après avoir vécu dans plusieurs pays (RD Congo, France, Belgique, Sénégal), à l’âge de 12 ans Sandrine Mubenga s’est retrouvée à Kikwit au Bandundu. La cité de Kikwit n’avait à cette époque ni eau ni électricité. Ceux qui le pouvaient devaient acheter un groupe électrogène pour avoir du courant. Et voilà qu’à l’âge de 17 ans, Mubenga tombe gravement malade et devait être opérée d’urgence. Malheureusement, l’hôpital Générale de Kikwit n’avait pas de carburant pour démarrer le groupe électrogène et opérer la malade. Pendant trois jours d’attente, la vie de Mubenga dépendait du courant électrique. Sandrine Mubenga considère son opération comme une chance et une bénédiction car d’autres personnes meurent à cause de ce manque d’électricité. C’est à ce moment-là que Mubenga réalisa la nécessite de l’électricité et décida de faire quelque chose pour changer la situation. Au 21ème siècle il est inadmissible de mourir à cause du manque d’électricité. Mubenga décidera donc de devenir ingénieure. En 2005, elle obtient avec sa Licence en Génie électrique de l'Université de Toledo de l’Etat de Ohio. Sa persévérance au travail académique lui fera remporter plusieurs bourses et prix en plus de quelques apparitions dans les journaux américains tels Toledo Blade, UTNews. En dernière année de Licence, elle se fera plus remarquer par l’invention qu’elle réalisera d’un système solaire portable qui procure de l'électricité à partir d'un panneau solaire. Passionnée par les énergies alternatives et renouvelables, elle poursuit une formation pour créer et intégrer les systèmes solaires photovoltaïques. En travaillant pour Advanced Distributed Generation, le plus grand installeur de système solaire dans le Midwest américain, elle a l'occasion de faire le design et installer plusieurs systèmes solaires dans la ville de Toledo à Ohio. Apres sa Licence, Mubenga travaille à la compagnie d'électricité First Energy dans le système de distribution où elle est ingénieure dans le groupe de planification pendant un an. Toujours passionnée par les énergies alternatives, Mubenga rentre aux études pour poursuivre une Maîtrise en Génie Electrique dans la spécialisation de Puissance, sous l'aile de Dr. Stuart, un professeur connu dans le domaine et qui détient plusieurs inventions reconnues à son actif. A côté de cet éminent scientifique et pour sa recherche, Mubenga fait une démonstration sur les technologies d'énergie alternative. Elle rend une voiture électrique hybride en intégrant une pile à combustible à hydrogène. La voiture créée roule en utilisant l'hydrogène comme carburant et le courant direct. Il s’agit d’une voiture qui ne pollue pas et dont le seul déchet est l'eau pure. En effet la pile à combustible utilise le gaz hydrogène et l'air pour produire du courant direct. Ce courant est ensuite utilisé par un moteur électrique qui fait tourner les roues d'une voiture. Dès lors que cette voiture roule à partir d'hydrogène, la deuxième partie du Project consiste à générer cet hydrogène. Mubenga fait le design d'une station génératrice d'hydrogène avec pompe à hydrogène. La station est constituée d'une machine a électrolyse qui prend de l'eau et la décompose en hydrogène et oxygène. La station est alimentée par un système solaire qui produit de l'électricité. La voiture peut donc rouler jusqu'à la station et faire le plein d'hydrogène. Tout le système - des panneaux solaire jusqu'a la voiture - ne produit pas de pollution, pas de gaz carbonique. Il est silencieux et utilise les énergies renouvelables, notamment le soleil et l'hydrogène. Cette recherche est financée par le Département d'Energie Américain et le Département de Développement de l'Etat de Ohio. Sandrine Mubenga a déjà réalisé dans le même cadre un plan pour électrifier tous les villages de la RD Congo par l’énergie alternative. La jeune inventrice a, par ailleurs, réussi le test de certification nationale pour l'Etat de Ohio où elle est officiellement inscrite comme Ingénieure. Le Sénateur de OHIO et le Gouverneur de l'Etat ont même eu l’occasion de féliciter la jeune congolaise pour ses prouesses. Ngalula Sandrine Mubenga a épousé un compatriote, Fidele Lufungulo. Ensemble ils ont deux charmants enfants.A l’heure où la Rdc devient un vaste chantier de reconstruction, le cas de cette inventrice mérite de retenir l’attention. Ce ne sont pas les talents qui manquent à la RD Congo, mais simplement la volonté politique.(CKD/TN/GW/PKF)MMC/Digitalcongo.net

CASTER SEMENYA....NEW LOOK


Embattled track star Caster Semenya gets new coach, new look
By Chris Chase
It's been a week of change for Caster Semenya, the South African runner at the center of a gender controversy at last month's world track championships.
First, one of her South African coaches quit the team in shame for not telling Semenya that she was being subjected to gender tests. (Semenya had thought she was taking a doping test.) Then, Semenya appeared on the cover of South Africa's You magazine with a complete makeover designed to silence critics who insist she is a man.
For the shoot Semenya sported a less ambiguous hair style, a designer black dress, jewelry, makeup and nail polish. Despite what you think about the whole situation, it's safe to say that this is the first time that Semenya has truly looked like an 18-year old woman.
She says she likes the look too. Semenya told the BBC:
"I'd like to dress up more often and wear dresses but I never get the chance.
I am who I am and I'm proud of myself."
Let's hope this is what she wants though.
Nothing Semenya has done in the past month has suggested that she likes to wear dresses, get manicures and let down her hair. After the controversy broke, she kept her cornrows, wore baggy clothes and pounded her chest in victory like a college football cornerback. When she returned to her hometown, she was dressed the same way. There's absolutely nothing wrong with that. That seemed to be Semenya's natural inclination. This feels forced.
Hopefully I'm wrong. But if Semenya was pressured to do this to silence her critics, then this is a sad story rather than one of retribution. The opinions of a few jealous coaches shouldn't have an effect on how an 18-year old carries herself. If Semenya wants to wear dresses then she should. But if she wants to run around in track suits, what's the problem with that?
The coach who resigned wasn't Semenya's personal coach, but a middle distance supervisor on the South African team who was ashamed that Semenya was kept in the dark about the growing controversy. Wilfred Daniels said he was told the issue was supposed to stay private

Tuesday 8 September 2009

ENERGIA DALL'AFRICA


Congo, la diga di King Kong che vale 23 centrali nucleari
Doppiata la portata d'acqua della diga delle Tre Gole in Cina (foto)

Costerà 56 miliardi, porterà un fiume di elettricità fino all'Europa

LUIGI GRASSIA

TORINONella sfida al colossale l’Africa può battere tutti, persino la Cina. Il Congo ex belga, cioè l’ex Zaire, quello con capitale Kinshasa, sta per costruire un sistema di dighe - che si chiamerà Grand Inga - con una potenza quasi doppia della famosa diga delle Tre Gole in Cina: addirittura 39 mila MegaWatt, cioè l’equivalente di 23 centrali nucleari del tipo più grosso che ci sia al mondo (l’Epr di Flamanville di Edf-Enel). Anche le spese di costruzione sono elefantiache: 56 miliardi di euro messi a disposizione dalla Banca mondiale, dalla Banca europea per gli investimenti e da alcune altre istituzioni. Ventitré supercentrali nucleari di modello Epr eccedono di molto le necessità di un Paese come il Congo, perciò si sta già progettando un sistema di cavi elettrici che da Grand Inga porterà l’energia fino al lontano Sud Africa, e nell’opposta direzione alla rete nordafricana, da dove la corrente potrà poi passare in Europa e in Italia. Il risultato di questo progetto-King Kong è che premeremo l’interruttore a Roma o a Milano e la corrente ci arriverà dal Congo. Quest’ultimo sviluppo, a dir la verità, è la parte più controversa del progetto, perché alcuni critici (africani e non) protestano per tanti miliardi di euro destinati teoricamente allo sviluppo dell’Africa e invece dirottati a soddisfare il fabbisogno energetico dell’Europa; ma alla World Bank non accettano obiezioni: «Per finanziare un investimento di 56 miliardi di euro abbiamo bisogno di clienti solvibili» spiegano all’Africa Energy Group della Banca, e solo così si potrà sostenere il più grande progetto di sviluppo mai finanziato e sarà possibile portare la luce elettrica a 500 milioni di africani che ancora non ce l’hanno. Questo è solo uno dei progetti faraonici che riguardano l’energia in Africa. Un altro è il gasdotto da 8,5 miliardi di euro (le firme sono state messe un mese fa) per portare il metano dalla Nigeria all’Algeria e da qui all’Italia e al resto d’Europa. Poi c’è il «Desertec» per ricavare energia dal sole e dal vento nel Sahara e convogliarla in Europa, un progetto magnifico che però costa 400 miliardi di euro e quindi chissà quando si farà. E c’è sempre il vecchio petrolio. La nuova frontiera del greggio è proprio il Congo della diga Grand Inga.
L’Eni va alla scoperta del Paese con un mega accordo firmato dal suo numero uno Paolo Scaroni. L’ex Zaire è un Paese tormentato, uscito da guerre civili e da un vasto scontro internazionale sul suo suolo che ha visto coinvolti parecchi Paesi africani, la prima guerra pan-continentale nell’Africa nera. Adesso la Repubblica democratica del Congo (un nome più che altro beneaugurante, perché è chiaro che c’è ancora molto da fare) gode di una certa stabilità e viene considerata una delle nuove frontiere del petrolio e del gas. Ricco di minerali soprattutto nella regione meridionale del Katanga, il Congo non ha prodotto, finora, molti idrocarburi, se non nella piccola zona costiera che si affaccia sull’Atlantico; invece l’Eni andrà a cercare petrolio e gas nell’interno, cioè nell’ansa del fiume Congo (Cuvette Centrale) e nell’Est: la zona dei Grandi laghi, in particolare il lago Alberto, e quella del Nord Kivu. Proprio dove si è combattuto qualche anno fa.
L’Eni, al pari degli altri giganti mondiali del petrolio, si sta interessando dell’Africa Nera perché, fatta la tara di tutte le sue turbolenze, offre risorse alternative al Medio Oriente e alle sue tensioni continue. Nell’ex Zaire diverse concessioni saranno messe in gara nel 2010. Il Congo ha davvero bisogno di un’attività economica organizzata. Ha 69 milioni di abitanti che fra 25 anni raddoppieranno a 140 milioni.
Per quanto ci si possa inquietare per l’impatto ecologico della ricerca di petrolio e gas in regioni del Congo finora poco toccate dall’industria, se l’economia del Paese non si sviluppa tutti questi nuovi abitanti andranno a distruggere la foresta equatoriale per praticarvi una misera agricoltura di sussistenza, e l’ambiente sarà devastato anche peggio. Uno sviluppo che non sia saccheggio è indispensabile all’Africa e l’Eni ha ottime credenziali. Sicuramente migliori di quelle tanto decantate dei cinesi, che vengono sviolinati come una valida alternativa per lo sviluppo dell’Africa ma in realtà arrivano nel Continente Nero con tecnologie vecchie e inquinantissime, si portano gli operai da casa e in loco non formano nessuno. È probabile che quando se ne andranno lasceranno terra bruciata.