Wednesday 20 January 2010

Rosarno “cittadina imbiancata”


Rosarno si è imbiancata” ha detto mama Africa. Così Norina Ventre, cittadina rosarnese che ha scritto decenni di storia di accoglienza nel comune pianigiano, commenta la partenza dei suoi figli africani. E la descrizione è carica di significato dal momento che una comunità si è spogliata, ma soprattutto 1200 persone, che per anni e sotto gli occhi di tutti hanno contribuito alla produttività agricola della nostra regione, sono state trasferite presso i centri tra Bari e Crotone e i loro destini, si spera, adesso sono da riscrivere completamente. Molti regolari, e nonostante questi mai contrattualizzati a Rosarno, hanno lasciato i centri ma per andare dove? Altri, quelli senza regolare permesso di soggiorno, saranno espulsi, non deportati come specifica il ministro all’Interno, Roberto Maroni. Intanto ai cittadini immigrati feriti a Rosarno è stato riconosciuta la protezione internazionale.


Ma le incertezze restano tante e non riguardano solo il destino di questi uomini africani, molti dei quali a capo di famiglie che avevano lasciato nel paese di provenienza. Ghana, Costa d’Avorio, Burkina Faso, Ciad, ma anche Niger, Nigeria, Mali, Gambia e Liberia. Le incertezze riguardano le sorti del comune sciolto per mafia, l’altissima densità criminale mafiosa registrata in quel territorio, il futuro delle terre di Rosarno, la bonifica delle aree in cui erano sorti quegli insediamenti indecorosi dove gli immigrati vivevano in condizioni disumane. Poi ancora quali e quando gli esiti degli accertamenti relativi allo sfruttamento della manodopera in agricoltura che in tutta quell’area imperversa. Quando la sicurezza e la legalità diverranno realtà? Intanto continuano anche le domande che scavano nel passato colpevole e connivente di istituzioni e amministrazioni che non sono riuscite ad incidere su una realtà in questi anni segnalata, raccontata e denunciata. A dichiarare che tutti sapevano c’è anche Giacomo Saccomanno, sindaco di Rosarno dal 2003 al 2005. L’eredità lasciata dagli africani di Rosarno sono milioni di euro stati stanziati per l’integrazione e l’aggregazione dai ministeri dell’Interno e del Welfare lo scorso anno. Un intervento puramente assistenziale, finito nel nulla.

Siamo a Rosarno. Qui vivono, come in molti altre realtà del Sud, persone oneste, a volte impaurite, ma persone che hanno convissuto per anni con i fratelli africani in un clima di tolleranza o accoglienza, non di razzismo. Accanto a queste, come in ogni luogo dove lo sfruttamento e illegalità imperversano, ve ne sono altre che confrontandosi con dinamiche sociali complesse rimangono integre, altre che perdono la loro integrità, che cedono ad un sistema che li ricatta, altre che ne traggono profitti ingiusti. Qui le responsabilità sono tante e alte e a dirlo sono i numeri, sono i dati. I cittadini africani erano migliaia a Rosarno ma di quanto accadesse in quei campi l’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale (INPS) ignorava. A Rosarno 1600 italiani regolarmente registrati e solo 36 cittadini stranieri. A Gioia Tauro, 600 cittadini italiani e 19 stranieri, a san Ferdinando, 317 italiani e 17 stranieri

La sintesi di questo quadro alla luce delle testimonianze finora raccolte è unica e amara. I cittadini africani erano in Calabria sfruttati, figli di un dio minore, protagonisti del dramma non solo calabrese del lavoro nero. Una concatenazione viziosa di clandestinità e sfruttamento della manodopera resa possibile da un sistema agricolo in crisi, da una catena di produzione e distribuzione altamente infiltrata, dalle istituzioni distratte o compiacenti e quindi, ma solo in ultimo, da inadeguati controlli sull’immigrazione. L’immigrazione clandestina è divenuta una risorsa per un sistema che già produceva illegalità e in cui fare imprese virtuosamente è davvero difficoltoso. D’altro canto politiche di contrasto al lavoro nero, alle ingerenze del crimine organizzato nel tessuto produttivo, alla promozione dell’accoglienza, quindi non solo al contrasto dell’immigrazione clandestina, potrebbero innescare la inversa a virtuosa spinta imprenditoriale anche di cittadini stranieri regolarmente residenti in Calabria. Secondo la Fondazione Leone Moressa, sono oltre 12 mila gli imprenditori stranieri in Calabria.

Ciò dimostra che l’integrazione sociale e lavorativa non solo è possibile ma può divenire risorsa preziosa per lo sviluppo del Sud. I fatti di Rosarno siano emblematici del potenziale negativo che illegalità diffuse e complesse possono generare. Ma senza dimenticare che tutto quanto accaduto non solo doveva e poteva essere evitato, ma con strumenti legislativi e politiche territoriali adeguati, avrebbe potuto essere un’opportunità. E l’amarezza non ha limiti.

Alla ribalta delle cronache nazionali e internazionali, i fatti di Rosarno sono stati a volte anche travisati e strumentalizzati. Diretto e netto è stato invece l’appello di Amnesty International: “Tutti i migranti devono essere protetti dagli attacchi e dallo sfruttamento. Il movimento di difesa dei diritti umani, da anni segue il tema dei diritti dei migranti in Italia, evidenziando la necessità di riservare loro un trattamento in linea con gli standard internazionali che li possa tutelare da ogni forma di discriminazione. I fatti di Rosarno hanno posto drammaticamente in luce le inadempienze notevoli e innumerevoli, già denunciate in tempi non sospetti.

Non è infatti una novità che i cittadini africani a Rosarno, ogni giorno, andassero a lavorare nei campi per poi rientrare in quegli insediamenti che definire informali sarebbe un vero e proprio eufemismo. Ciò accade da anni. L’accento importante che il movimento internazionale per i diritti umani pone è quello che affianca a controlli insufficienti sull’immigrazione clandestina cui il ministro Maroni ha attribuito i disordini, anche la problematica dello sfruttamento che potrebbe, in un territorio dove spesso la latitanza delle istituzioni è regolare come l’incidenza della criminalità mafiosa e dove lo stesso comune è da tempo commissariato, essere la reale causa di questo mancato controllo.

Sulla vulnerabilità dei migranti in Italia, Amnesty aveva già avvertito in occasione della presentazione del “pacchetto sicurezza”, rimanendo inascoltata mentre a Rosarno quel rischio non era solo una parola ma una realtà. Indagini efficaci, applicazioni dei principi del non respingimento e delle procedure di richiesta di asilo e di assegnazione di alloggi adeguati, queste le richieste di Amnesty che potrebbero concorrere alla creazione concreta e percepita di un clima di rispetto e di accoglienza.

Anna Foti
Martedì 19 gennaio 2010 ore 18:08

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